Ciao Diego, per sempre.

Magazine 03 novembre 2020

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Numero 03 – novembre 2020

Chi c’era lo racconta ancora: ogni volta che il San Paolo intonava il coro dedicato a Maradona, lo stadio tremava come mai aveva tremato prima.

E come mai ha tremato dopo. Perché Diego Armando Maradona regalava emozioni ogni volta che entrava sul terreno di gioco. Dava speranza a chi quel terreno di gioco lo guardava solamente. La speranza di potercela fare. Di poter andare oltre la propria quotidianità e vincere la sfida con la vita. Così come aveva fatto lui, fronteggiando le rivali del nord e vincendo lo scudetto con una società e una squadra che, per la prima volta (e anche per una seconda) ha messo il suo nome davanti a tutte le altre.

Ecco perché Napoli ama Maradona: perché il suo successo in campo è il successo della città stessa e di tutti i suoi abitanti fuori dal terreno di gioco. È lì che il Pibe De Oro ha dato il meglio di sé, ha trascinato compagni e annichilito gli avversari con una supremazia tecnica seconda solo al timore che, con il passare degli anni, il suo nome incuteva alla sola lettura dell’elenco degli undici titolari.

Maradona

Già perché con quel sinistro, Diego, faceva ciò che voleva. Contro qualsiasi avversario. Da qualunque posizione. Come dimenticare la punizione segnata alla Juventus, il 3 novembre 1985: qualcosa di irreale, con la palla che, dall’interno dell’area, supera la barriera e si infila sotto l’incrocio dei pali alle spalle di Stefano Tacconi, allora estremo difensore dei bianconeri: “Ancora oggi mi chiedo come possa aver fatto a disegnare quella traiettoria. Era un gol impossibile per il semplice motivo che la barriera era vicinissima. Per di più si trattava di una
punizione indiretta. Io non vedevo il pallone. Mi feci guidare dall’istinto ma lui aveva già previsto come sarebbe andata a finire. Un vero colpo di genio”. Genio e sregolatezza.

Noi, però, vogliamo ricordare solo la magia che ha reso Maradona unico. Forse “ancora più unico” di Messi e di Pelè, anche se i confronti tra ere calcistiche differenti, sono sempre difficili. Oltre che ingiusti. E a proposito di ingiustizie, chissà cosa hanno pensato gli inglesi che, ai mondiali di calcio in Messico nel 1986, hanno subito il gol più bello della storia della Coppa del Mondo cinque minuti dopo la famosa “mano de Dios”. Quella con cui Diego superò Peter Shilton depositando il pallone in rete. Per farsi perdonare mise ai suoi piedi l’intero universo pallonaro, partendo dalla sua metà campo, lasciandosi alle spalle cinque giocatori inglesi e dribblando anche l’estremo difensore avversario. Semplice onnipotenza su un campo da calcio. Una schiacciante superiorità che bacia una persona, forse due, ogni 50 anni.

E allora aspettiamo che arrivi in terra un nuovo Diego Armando Maradona, perché anche i figli della generazione Z meritano di vivere grandi emozioni e di poter dire: “Ho visto il migliore”. I nostri nonni hanno ammirato Pelè. I nostri papà hanno vissuto Maradona. A noi, il cielo ha dato Messi.

Chi sarà il prossimo con cui poter giocare a “Chi è il top di tutti i tempi?”. Io non saprei rispondere. E allora mi affido alla penna di un fuoriclasse che scrive per la Gazzetta dello Sport, Luigi Garlando: “O Rei non avrebbe avuto problemi con i difensori europei, ma basta rivedere il fallaccio con cui il basco Goikoetxea gli frantumò la caviglia ai tempi del Barça, per intuire che Maradona ha combattuto battaglie che Pelè in genere ha evitato, specie in patria. Nei vecchi filmati, la Perla Nera ha il tempo di fermarsi, fintare in surplace, danzare la ginga, il calcio ballato derivato dalle danze degli schiavi, e ripartire. Maradona ha vissuto l’evoluzione adulta della professione, esasperata in tutto: negli interessi economici, nella visibilità, nei ritmi di gioco, nella fisicità dei protagonisti. Diego non poteva permettersi di fermare il pallone, perché sapeva che sarebbero piombati tacchetti a scolpirgli le caviglie”.

E mentre i suoi avversari cercavano di scolpirgli le caviglie, lui ha scolpito un monumento al calcio con un’ abilità degna del miglior Michelangelo, o Bernini, o Canova… semplicemente con il suo piede mancino.

Pietro Razzini

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